CRIMINI & MISFATTIPRIMO PIANO

Il misterioso omicidio nella Susa del Trecento dell’inquisitore fra’ Pietro da Ruffia

Da secoli è avvolto nel mistero il caso della morte dell’inquisitore fra’ Pietro da Ruffia ucciso, nel 1365, a Susa: si tratta di un avvenimento che all’epoca fece molto scalpore, ma che non fu mai risolto. E tale è destinato a restare tale. Ma se gli uomini non hanno saputo trovare la verità, il fantasma di fra’ Pietro pare continui instancabilmente a ricercarla: infatti il suo spettro è stato visto più volte aggirarsi nei pressi del luogo in cui una mano ignora colpì ripetutamente il suo copro mortale. Precisamente nel convento dei Frati Minori di Susa, un complesso francescano fondato nel primo quarto del XIII secolo all’esterno delle mura segusine, che ancor oggi si presenta ben conservato: sono visibili due chiostri e la sala capitolare, mentre la chiesa possiede pregevoli affreschi.

La chiesa di San Francesco a Susa dove si consumò il delitto

L’omicidio di fra’ Pietro da Ruffia è talmente oscuro, in quanto colmo di colpi di scena e di intrighi, che si potrebbe intessere un romanzo giallo. Mi limiterò, comunque, agli eventi storici. Il 2 febbraio 1365, nella chiesa di San Francesco uno degli inquisitori più severi, considerato un simbolo della lotta contro la dissidenza religiosa, in tutte le sue espressioni, viene venne trovato in un lago di sangue. Il corpo fu rinvenuto solo la mattina seguente, quando ormai l’assassino si era dileguato senza essere visto da nessuno.

Si disse che gli autori del crimine fossero degli “eretici di Meana”, vale a dire un gruppo di valdesi osservati con attenzione dalla Chiesa e dal potere temporale del luogo. Secondo le tesi dell’epoca, quell’omicidio intendeva probabilmente porsi come sfida  a quei poteri: al vescovo dell’abbazia di San Giusto e a ciò che rappresentava e ad Amedeo VI, dominatore della castellania di Susa.

Un’azione che non fu un fulmine a ciel sereno, ma rappresentava l’effetto di una situazione divenuta insostenibile quando le guerre di religione travolsero genti e luoghi delle Alpi. Però, in quel freddo giorno di gennaio un inquisitore, considerato particolarmente repressivo,  fu definitivamente privato di un potere che, possiamo pensare, fece versare anche del sangue innocente.

Pietro da Ruffia era l’inquisitore capo del Piemonte e della Liguria, con potere che giungeva fino alla Savoia: quindi si trattava di una figura di spicco il cui omicidio fu senza dubbio un fatto dimostrativo importante. Non ci  furono testimoni: il suo corpo fu rinvenuto nel chiostro della chiesa di San Francesco, trafitto da una decina di pugnalate; intorno non vi era alcuna traccia che lasciasse trasparire degli indizi utili per risalire al colpevole. Si disse che il suo assassino fosse giunto dalle Valli di Lanzo: certamente un professionista, capace di colpire il sacerdote nella sua dimora e poi scomparire nel nulla, così come dal nulla era giunto.

Il Ruffia, in quel tempo, si trovava a Susa probabilmente per celebrare un processo contro delle streghe o degli eretici, quindi con ogni probabilità era vulnerabile e avvicinabili anche dagli sconosciuti. Il suo killer forse lo seguì per un certo tempo, cercando di farsi un’idea delle abitudini di quel prete odiato da molti che, dopo alcuni giorni di appostamento, fu sorpreso all’uscita del tempio francescano dove venne travolto dalla lama omicida.

Forse l’inquisitore Pietro da Ruffia morì perché qualcuno volle vendicare dei parenti o degli amici finiti nelle spire del Tribunale dell’Inquisizione. Però non va neppure ignorata la possibilità che l’omicida fosse animato da altre cause, forse anche da odi e rancori esterni alla lotta contro gli eretici, ma provenienti dalle alte sfere del potere. Chissà? Emblematicamente l’omicidio fu consumato il 2 febbraio, giorno in cui la Chiesa celebra la festa della Purificazione. Si trattò, forse, di semplice casualità?

Il cadavere del grande inquisitore, dopo la solenne commemorazione funebre celebrata nella cattedrale valsusina, fu trasferito a Torino, presso la chiesa di San Domenico, sede del Tribunale dell’inquisizione.Le indagini condotte dagli ufficiali sabaudi non condussero ad alcun risultato: stranamente non venne indicato neppure un capro espiatorio che, in situazioni di questo genere, spesso è invocato da molti.

Ma, nella valli occidentali, con la morte di Pietro da Ruffia, la persecuzione degli eretici non si fermò: vennero altri inquisitori e nuovi roghi furono accessi.

Piero Abrate

Giornalista professionista, è direttore di Storie Piemontesi. In passato ha lavorato per quasi 20 anni nelle redazioni di Stampa Sera e La Stampa, dirigendo successivamente un mensile nazionale di auto e il quotidiano locale Torino Sera. E’ stato docente di giornalismo all’Università popolare di Torino e direttore del portale regionale di informazioni Piemonte Top News.

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio