TRADIZIONI

La “bagna càuda”, bandiera della cucina piemontese e simbolo di semplicità e convivialità

La curiosa variante argentina, creata dagli emigranti piemontesi a fine Ottocento, che utilizzarono la panna (“fior ëd làit”) in sostituzione del quasi introvabile olio d’oliva

La bagna càuda pare abbia origini antiche, almeno risalenti al Medio Evo. Era chiamata anche “bagna d’otogn” (bagna d’autunno), perché veniva preparata per festeggiare la fine della vendemmia, che un tempo si praticava in Ottobre, e che oggi, per gli evidenti cambiamenti climatici, almeno alle nostre latitudini, è ormai anticipata a Settembre.

Gli  ingredienti fondamentali della bagna càuda originale erano (e sostanzialmente sono rimasti immutati in Piemonte) l’aglio, le acciughe e l’olio di oliva. Le acciughe giungevano dal Mar Ligure; l’olio arrivava in parte dal Basso Piemonte (ci sono toponimi che confermano la vocazione all’olivocultura di molte colline piemontesi, come Olivola, in provincia di Alessandria, o San Marzano Oliveto, in provincia d’Asti) e in parte maggiore, dagli oliveti della Riviera di Ponente e della Contea di Nizza. Si trattava di scambi commerciali di derrate alimentari tra terre confinanti, al di qua e al di là dello spartiacque appenninico e delle Alpi Marittime: grano, cereali, vini dal Piemonte, in cambio di acciughe e olio dal Golfo Ligure.

Le acciughe arrivavano a dorso di mulo e d’asino attraverso gli impervi sentieri sterrati delle diverse “vie del sale” che collegavano il Basso Piemonte con le Valli liguri. Anche il sale arrivava dal mare, ma essendo pesantissime le gabelle pretese dai doganieri, spesso veniva importato in modo illegale, dai contrabbandieri; oppure transitava clandestinamente nascosto sul fondo dei barili che, almeno in superficie, parevano innocui recipienti ricolmi di acciughe o di altri alimenti.

Nonostante le sue origini secolari, una ricetta stampata della bagna càuda compare solo nel 1875: del resto, fino ad allora nessuno sentiva la necessità di mettere per iscritto la procedura per prepararla: basta assistere in famiglia al rito della sua preparazione, e la ricetta veniva trasmessa di madre in figlia, per imitazione.  Era una “bagna” semplice, approntata in ogni focolare domestico, facile da realizzare. Non mancavano le varianti, ed ogni famiglia aveva i suoi piccoli segreti. Come quello, ad esempio, di utilizzare, là dove non era facilmente disponibile, l’olio di noci o di nocciole (tipico del Basso Piemonte) invece dell’olio di oliva.

La bagna càuda si diffuse tra le classi rurali e popolari come piatto conviviale; era generalmente bandito nelle famiglie borghesi, nobiliari, e tanto a meno a corte: l’afrore dell’aglio s’impregnava negli ambienti, negli abiti e soprattutto perdurava nell’alito anche diverse ore dopo l’assunzione, e le bocche e le narici dei ricchi erano troppo sofisticate per tollerarlo.

Olio, aglio, acciughe… Certo. Ma la bagna càuda non è fine a se stessa. È una “bagna” e come tale ha bisogno che in essa venga intinto qualcosa: le verdure. Ma anche di un recipiente in cui poterla amalgamare e scaldare a puntino, e possa mantenersi a lungo ad una temperatura elevata.

Non è concepibile una bagna càuda servita fredda o tiepida (non a caso si chiama bagna “càuda”). Più calda è, meglio è: direi che l’ideale è che sia servita quasi… bollente. Il recipiente ad hoc non è né di rame né di alluminio, e neppure di acciaio. Il recipiente perfetto è in terracotta: questo materiale consente una cottura graduale e senza bruciature, e permette al contenuto di mantenersi a lungo ad una temperatura costante. Originariamente tutti “pucciavano” le verdure in un unico tegame (il “dian”) poggiato su uno scaldino posato sulla brace; oggi è più comune servire la bagna càuda in mono-razioni distribuite nei “fojòt” individuali, spesso appoggiati su un fornelletto ad alcool o a meta, con la fiammella costantemente accesa.

Nella bagna càuda si intinge ogni tipo di verdura, sostanzialmente cruda, ma anche cotta. Classico connubio è quello con i finocchi, i carciofi, i cardi, i ravanin (rapanelli), i ciapinabò (topinàmbour), l’insalata, i peperoni, e così via.

Nel 2015 presso uno Studio notarile di Costigliole d’Asti, la Delegazione Astigiana dell’Accademia Italiana di Cucina ha depositato una “ricetta canonica” della bagna càuda doc. Nel 2013 è stata presentata ufficiale richiesta all’Unesco per riconoscere la gustosa bagna piemontese come “patrimonio immateriale dell’umanità”.

Sono molte le località piemontesi in cui si celebra il tipico condimento regionale piemontese con un “Bagna càuda day”. Ancor più diffuse sono le giornate dedicate alla bagna càuda in Argentina, soprattutto nella Provincia di Córdoba, dove praticamente in ogni centro di quella che viene chiamata la “Pampa Gringa” e che ospita la sede di una Familia Piamontesa, si celebrano le Giornate della Bagna Càuda (da Las Varillas a Calchín Oeste, da Luque a Humberto Primo).

A proposito della bagna càuda argentina c’è da dire che si caratterizza per l’impiego, tra gli ingredienti base – in sostituzione dell’olio – della panna (fior ëd làit). Qualche Piemontese al di qua dell’Oceano si meraviglia di questa variante, a dire il vero piuttosto singolare (e grida allo scandalo facendo boccacce di stupore).

Sta di fatto che gli emigranti piemontesi giunti in Argentina tra gli Anni Ottanta dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, e che hanno mantenuto viva laggiù la lingua dei loro antenati, non hanno certo voluto rinunciare al piacere della loro “bagna” tradizionale. Ma come spesso succede, di necessità hanno fatto virtù: essendo pressoché introvabile da quelle parti l’olio di oliva, hanno rimediato con un ingrediente alternativo di tutto rispetto: la panna (fior ëd làit), mantenendo però inalterati tutti gli altri ingredienti vegetali disponibili in loco. La bagna càuda argentina si presenta ben amalgamata, profumata e invitante. Si caratterizza a vista per il colorito chiaro che la distingue dalla variante originale.

Del resto, anche in Piemonte la “bagna càuda” ha subito nel tempo riletture, interpretazioni soggettive, e contaminazioni, per adattarla ai gusti dei singoli consumatori spesso in evoluzione: alquanto diffusa è ad esempio la variante senza aglio, per chi non ama il sapore di questa nota Amaryllidacea di origine asiatica.  C’è chi la usa come condimento per la polenta, per l’insalata, e persino per la pasta. C’è chi la utilizza per insaporire le uova strapazzate o addirittura per una nuova versione di pizza, alla bagna càuda, appunto, con olio, aglio e acciughe.

Noi diciamo: ognuno si scelga la variante che più gli si addice. E aggiungiamo: viva la bagna càuda in tutte le sue varianti, bandiera della cucina subalpina, in Piemonte e nel mondo!

…Mangiomla an companìa,
regin-a dla piòla e dl’ostarìa:
a rend pì s-ciasse le amicissie,
ch’a vivo nen ëd seugn,
ma ‘d sospir ch’a son dru,
ëd respir con l’afan,
giutand la fatiga a bravé
e dësmentié ij tò sagrin.
E bin! Bagna càuda ch’a sia,
sìmbol antich ëd la tèra sabàuda:
fin-a l’Unesco a l’ha benedìa,
come pitansa la pì savorìa.

Nota dell’Autore: Libera versione in LIngua piemontese della poesia “La bagna d’Autunno” di Tiziana Calamera:

La si mangia in compagnia / la regina della trattoria / sedimentando amicizie vere / che non vivono di chimere. // Ma di aliti ponderosi / e respiri affannosi / affrontando la fatica / con ironia da vera amica. // E sia per sempre Bagna Cauda / antico segno della regione sabauda / e dal prezioso Unesco nominata / la pietanza del mondo più prelibata.

Sergio Donna | 19 Aprile 2025

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino", "Statue di Torino" e "Ponti di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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