
La strana vicenda delle spoglie rubate di re Arduino che riposano al castello di Masino
C’è un luogo in Piemonte che racconta la storia in modo particolare: si tratta del castello di Masino, costruito nell’XI secolo vicino a Ivrea, dalla famiglia Valperga, che vantava discendenze da Arduino, e che volle tenere sotto controllo il Canavese situando il maniero, allora molto più piccolo di oggi, su un’altura strategica. All’epoca spesso i castelli e le caseforti venivano costruite per attestare la legittimità, il potere e la capacità economica delle famiglie.
Durante il Medioevo, il castello di Masino fu al centro di numerose battaglie tra le famiglie nobiliari della regione. La sua posizione aveva attirato l’interesse di potenti casate come i Savoia, gli Acaia e i Visconti. Nel XIII secolo, la fortezza fu coinvolta nelle guerre tra i comuni e i signori feudali, e fu più volte assediata e conquistata.

Nel XVI secolo, con il cambiamento delle tecniche belliche, molte fortezze medievali persero la loro funzione difensiva. Anche il castello di Masino non fece eccezione. Durante il periodo delle guerre francesi in Italia, il castello fu demolito e poi ricostruito dai francesi, che lo trasformarono in una dimora signorile, abbattendo le mura poste a difesa e costruendo sale di accoglienza e giardini all’italiana che ancora oggi sono un vanto dell’edificio.
Grazie ai lavori di ristrutturazione condotti dal FAI, che ha acquistato il castello nel 1988, restaurando poi nel 2019 gli affreschi interni, attualmente il maniero è uno scrigno accogliente che ospita numerose opere d’arte, magnifici giardini, un bella biblioteca e un labirinto tra i più grandi del Piemonte. La famiglia Valperga ospitava frequentemente nobili, artisti e intellettuali, organizzando feste sfarzose, concerti e spettacoli teatrali.

Le cronache dell’epoca raccontano di sontuosi banchetti, balli in maschera e tornei cavallereschi che animavano le sale e i giardini del castello, mentre nell’Ottocento divenne un salotto letterario dove si incontravano intellettuali, artisti e scienziati. L’ultima proprietaria della famiglia fu Vittoria Leumann, moglie del conte Cesare Valperga, che dedicò parte della sua vita alla cura e alla conservazione del castello. Solo alla sua morte la costruzione passò al FAI, consentendo così di mostrare al pubblico le bellezze di uno dei più antichi e superbi castelli piemontesi.
Ma facciamo un passo indietro: dopo la morte dell’Imperatore Ottone III nel 1002, Arduino fu eletto Re d’Italia dai nobili italiani, il suo regno fu segnato da numerosi conflitti, tra i quali quello con Enrico II, che invase l’Italia nel 1004 e fu incoronato re a Pavia. Arduino riuscì a mantenere il controllo su parte del nord Italia fino al 1014, quando Enrico II tornò e lo costrinse a cedere il trono. Ritiratosi nell’Abbazia di Fruttuaria, Arduino morì il 14 dicembre 1015, ma la storia delle sue spoglie non finì lì, perché il legame di re Arduino con Masino nasconde una vicenda particolare.
Nel XVII secolo Filippo di San Martino riesumò i resti di re Arduino per portarli nel suo castello di Agliè, ma il riposo del re non durò a lungo, un secolo dopo Cristina di Saluzzo Miolans, moglie di Giuseppe di San Martino, che aveva vissuto nel maniero, vi si recò per trafugare la cassetta con le spoglie di Arduino e portarle al suo amante Carlo Valperga, al castello di Masino, dove si trovano ancora adesso.

La vicenda è narrata da Giuseppe Giacosa, nel libro “Castelli valdostani e canavesani”, scritto nel 1897. Concludiamo regalandoci la lettura del racconto direttamente dalle sue parole:
“La Marchesa, amava, non riamata, uno dei più degni rampolli arduinici, il Conte Carlo Francesco Valperga di Masino, ricchissimo e magnifico signore, uomo di grande conto, fra i primi del suo tempo e del suo paese. Amava non timida né riguardosa, ma con fiera alterezza, incurante delle dicerie, sdegnosa dei pericoli, superba dell’uomo eletto, stimolata da quella cieca ed eroica follia, da quella smania di generose imprudenze che è propria delle donne capaci di alti affetti e destinate a grandi dolori. Al Conte di Masino coceva il pensiero di quelle poche ceneri, già tolte alla sacra volta ed ai canti della chiesa, già rapite alla terra. Una sera scura d’inverno si partì Cristina dal Castello di Masino, colla sola scorta di pochi domestici. Già da due giorni aveva mandato innanzi la muta dei cavalli per il ritorno. Partita sull’imbrunire, la fiera donna giunse al Castello d’Agliè poco dopo la mezzanotte. Molti fra gli antichi servitori del marchese erano passati colla casa al servizio della Corte, e fra questi il custode”.


E, ancora: “La Marchesa Cristina non aveva doppie chiavi, sdegnava entrare di soppiatto come un ladro, in quella villa già sua, venduta con atto da essa non consentito. Svegliò scampanellando il custode e fattasi avanti da padrona gli ordinò la rischiarasse attraverso le stanze. La Corte era allora a Torino. Al vecchio custode, quella apparizione, a tale ora e quel comando e l’abitudine all’obbedienza, o un resto di devozione o forse la scorta che traspariva vicina, nell’ombra, dovettero far dimenticare del tutto il nuovo padrone. Egli s’inchinò ossequioso. Essa procedeva colla sicurezza tranquilla di chi compie un atto normale. Traversarono le sale e le gallerie dov’erano i ritratti di tanti rampolli arduinici; giunsero all’oratorio, essa aprì l’armadio, ne trasse colle proprie mani la cassetta, se la recò sulle braccia e senza aggiungere verbo, tornata alla carrozza, sempre rischiarandola il custode del violato Castello, ve la depose, vi sali sola e via rumoreggiando per la notte. Così la sacra maestà del Re Arduino, riattraversava un’altra volta dopo quasi ottocento anni, la sua fedele terra canavesana, e Cristina di Saluzzo-Miolans, marchesa d’Agliè, di Garresio e di San Germano le sedeva accanto, bella, giovane, riverente guardiana. Ora gli avanzi mortali del Re Arduino dormono nel Castello di Masino. L’arca che li racchiude fu aperta un’ultima volta nell’anno 1827, ma con gran pompa religiosa e nella presenza del Re Carlo Felice e della Regina Maria Teresa. Benedette le ossa, l’arca fu rinchiusa e suggellata coll’arme recante il fascio delle verghe ed il motto arduinico: Sans despartir”.
testo di di Katia Bernacci
Immagini di Marino Olivieri